sabato 9 luglio 2011

Paradigma Valsusa


Come l’odissea aquilana del terremoto e del post-terremoto, così l’annosa vicenda dell’opposizione valsusina al progetto di Alta Velocità rappresenta la storia emblematica di una comunità e di un territorio, di una lotta corale per sopravvivere contro lo stravolgimento ambientale e antropologico causato dagli esseri umani (e non dalla natura). Una lotta cui il resto d’Italia e del mondo assiste guardando le immagini televisive, ma il cui significato travalica quello di una vertenza circoscritta e non ha nulla a che fare con quel capriccio localistico, con il quale la si vorrebbe etichettare (della serie: i soliti ambientalisti, quattro montanari, contrari al progresso, «non nel mio cortile» e via dicendo).

Questa storia è un paradigma. Lo è prima di tutto per il mastodontico meccanismo di affari che è stato messo in moto – secondo modalità diverse in ciascuno dei casi, ma con un intento consimile di conseguire la privatizzazione di un habitat – e che ha reso via via indispensabili al raggiungimento del proprio fine, in Val di Susa come a L’Aquila, la compartecipazione dei vertici politici a vari livelli, la manipolazione dell’informazione, la militarizzazione del territorio. Ed è una vicenda paradigmatica, d’altronde, anche per la risposta popolare che ha suscitato: l’auto-organizzazione, la pratica della democrazia di base, la produzione di contro-informazione, nonché la condivisione più o meno attiva da parte delle istituzioni comunali, quelle più aderenti alle istanze della cittadinanza.

Soltanto la tenuta di un movimento civico di questa portata ha permesso di mantenere vigile l’attenzione sugli attentati al territorio e alla democrazia che si stanno perpetrando in Valsusa, e di bucare a tratti il video di un’informazione addomesticata. Così, per esempio, il governatore della Liguria – una delle regioni teoricamente più interessate al progetto Tav – nonché ex ministro dei trasporti, ha dovuto affermare qualche giorno fa che si tratta di un’opera inutile. Così, a quasi una settimana dalla manifestazione del 3 luglio, va sgonfiandosi la montatura black bloc (per non dire della roboanti farneticazioni di «tentato omicidio»). La stessa polizia dichiara adesso di usare il termine black bloc per riferirsi a chiunque adotti certi comportamenti, a prescindere da come si veste.

In molti interventi (su carta stampata, su Youtube, sui siti internet) i No Tav valsusini hanno spiegato che i black bloc non esistono, che a scontrarsi con la polizia sono stati i loro giovani (o anche i loro anziani); e hanno raccontato come si sono svolti i fatti, come è accaduto che i cortei marciando lungo i sentieri di montagna – con il loro seguito di cinquantenni e di famiglie – siano arrivati dove si proponevano di arrivare, di fronte all’autostrada, sopra al contestato cantiere, a contatto con l’acre fumo dei lacrimogeni. In ogni caso, ci sono alcuni arrestati, la magistratura è all’opera e anche i collegi legali. Vedremo come andranno le cose.

Peraltro, che in Valsusa quel giorno vi fossero manifestanti venuti da varie parti d’Italia è davvero la scoperta dell’acqua calda. Non ne avevano forse diritto? Non è diventata la protesta dei No Tav un movimento che riscuote solidarietà anche fuori di quello stretto lembo di terra incastonato fra le Alpi? E poi, certo, fra i giovani (valsusini e non) ve ne sono di quelli che concepiscono un’opposizione militante contro le «zone rosse», considerandole la punta avanzata della moderna espropriazione dell’ambiente, delle risorse, della democrazia. Forse che questa analisi è totalmente infondata?

Da parte nostra, abbiamo maturato un convincimento nonviolento: perché pensiamo che la nonviolenza, il disarmo, siano presupposto indispensabile di un nuovo progetto di società; ma anche perché ci sembra illusorio e controproducente credere di vincere con la forza contro chi ha il monopolio della forza. Eppure, noi sappiamo anche distinguere chi e che cosa è all’origine della violenza. Chi occupa un’antica e popolosa valle con cantieri invasivi, gestiti da imprese non trasparenti, per realizzare una speculazione dai costi insopportabili, invisa alla popolazione, e presidia questi cantieri con battaglioni di poliziotti, e alimenta la disinformazione sullo stato di cose reale – chi fa questo comunica un inequivocabile messaggio di violenza e di sopruso, di cui dovrebbe essere ritenuto responsabile.