venerdì 1 luglio 2011

Dieci anni dopo il movimento

Nell’imminenza del decennale, in molte città italiane vengono rievocati i giorni del G8 di Genova 2001, le manifestazioni promosse dal Genoa Social Forum, la repressione poliziesca che costò la vita a Carlo Giuliani (20 luglio) e culminò nell’aggressione alla scuola Diaz (notte del 21-22 luglio). Anche in Puglia si tengono incontri; a Bari un gruppo di militanti e studiosi ha promosso una giornata seminariale presso la casa dei missionari comboniani (a suo tempo protagonisti di quello che fu battezzato «movimento dei movimenti»).

Dalla regione del tacco vi fu un massiccio afflusso verso la lontana Genova: si ricordano «i mille» che salirono sul treno speciale per la manifestazione del 21 luglio; senza contare quelli che ci andarono con altri mezzi, e i molti che vi si trovavano già dai giorni precedenti.
Noi eravamo fra «i mille» e vogliamo dare un piccolo contributo di testimonianza, un tassello per la memoria collettiva.

Eravamo saliti in treno, la sera del 20, con l’angoscia nel cuore. La morte di Carlo Giuliani, nel pomeriggio, aveva fatto precipitare nell’incubo le pacifiche giornate del forum antiglobalizzazione. Ma speravamo che di fronte a un grande corteo di decine di migliaia di persone – tante ne erano previste per la manifestazione conclusiva di domenica 21 luglio – la furia aggressiva della polizia si sarebbe fermata. La notte trascorse in dormiveglia, fra canzoni e chiacchierate in vagoni gremiti. Sul treno speciale, partito da Lecce, salivano manifestanti in quasi tutte le città pugliesi della linea adriatica.
Arrivammo a Genova di mattina presto in una stazione periferica a est (Quarto: che curioso, proprio là dove erano partiti quegli altri Mille). Era una calda giornata di sole. La stazione e le strade erano piene soltanto di manifestanti; nessun altro si vedeva in giro, tutto era chiuso e non c’era nemmeno la polizia. Man mano che ci incamminavamo in corteo verso ovest, seguendo la costa del mare, prendevamo coraggio; striscioni, colori, i tanti volti di una moltitudine che si andava ingrossando, compagni/e che si incontravano abbracciandosi: tutto questo ci rincuorava, comunicava un senso di forza. Mentre ci avvicinavamo alla zona centrale, incominciarono a giungere notizie frammentarie di cariche della polizia.

Iniziammo a vedere davanti a noi il fumo dei lacrimogeni, mentre sui telefonini venivamo chiamati da chi seguiva i notiziari. Il nostro spezzone di corteo fu fatto deviare su corso Torino, il lungo rettifilo verso nord; fazzoletti in mano, ci lasciammo alle spalle i lacrimogeni e le cariche. In realtà l’insieme della manifestazione era così grande che le cariche riuscirono a disperderne solo alcuni pezzi. Procedemmo ordinatamente come se fossimo noi l’unico e vero corteo, e finalmente vedemmo i genovesi che ci salutavano dai balconi e ci rifornivano di acqua.
Giunti in fondo a corso Sardegna, ci sciogliemmo spontaneamente. Non sapevamo che fare, e che cosa esattamente stesse succedendo alle nostre spalle. Alcuni di noi formarono un drappello che – come tanti altri in modo diverso – decise di provare a raggiungere la stazione di Brignole, al centro, da dove saremmo dovuti ripartire per tornare in Puglia. Attraversato il fiume Bisagno su un ponte nella zona di Marassi, incominciammo a percorrere il lungofiume verso sud, mentre la polizia sbarrava minacciosamente gli altri ponti. Nel tardo pomeriggio arrivammo sul piazzale di Brignole, dove si andavano concentrando i manifestanti che dovevano salire sui vari treni. Colonne di mezzi della polizia sfrecciavano là davanti, in trasferta chi sa da dove verso dove, in mezzo a salve di fischi e urla. Nella stazione furono allestiti dal Social Forum posti di distribuzione di panini e acqua, letteralmente circondati come in un assedio.

Eravamo affamati e assetati, in città non avevamo trovato neppure un bar aperto. Una folla stremata e arrabbiata occupava i marciapiedi lungo i binari. Vi fu l’assalto ai treni, e finalmente partimmo. Il viaggio notturno fu trascorso fra racconti eccitati, ancora canzoni, sonni interrotti. All’alba, mentre i vagoni sferragliavano lungo l’Adriatico, ci raggiunsero sui telefonini, da Genova, le prime notizie di ciò che era accaduto nella notte: la «macelleria messicana» della scuola Diaz.

Non sapremmo dire se il luglio 2001 fu un punto di arrivo e di crisi del movimento no global – la novità più significativa dei nostri tempi, prima delle rivolte arabe – o piuttosto un inizio. La stagione del World Social Forum proseguì ancora per qualche anno con incontri mondiali. In Italia, il 2002 fu l’anno di due grandi manifestazioni permeate dallo spirito del movimento antiliberista: quella della Cgil del 23 marzo a Roma, in difesa dello statuto dei lavoratori (proprio la Cgil, che aveva fatto mancare la sua adesione al movimento di Genova) e quella pacifista di Firenze del 9 novembre. Nel 2002-2003 le bandiere della pace sventolarono da molti balconi italiani, perfino nelle chiese. In tutto il pianeta il movimento pacifista, «seconda potenza mondiale» (scrisse allora il «New York Times») raggiunse il suo apice, poco prima della guerra in Iraq. Fu allora, probabilmente, che si chiuse la fervida stagione del movimento no global. Restavano i semi sparsi, e anche la Primavera Pugliese ne raccolse qualcuno.