venerdì 17 giugno 2011

Segnali di fumo

Il terremoto referendario del 12-13 giugno è stato già analizzato da miriadi di commenti. E ancora nell’immediato futuro stimolerà – ci auguriamo – una riflessione profonda. Per parte nostra, in questa grande e confortante prova di democrazia, che spazza via gli incubi depressivi durati troppo a lungo rafforzando lo stato di buon umore già originato dalle elezioni amministrative, vogliamo rilevare qui un solo dato: quello di un risveglio che definiremmo come una sorta di “ritorno alla normalità”.

La forza trainante del quorum è venuta dalle antiche regioni rosse (Emilia 64%, Toscana 63,6%, Marche 61, 6%), sorpassate soltanto dal Trentino Alto Adige (64, 6%), cui si aggiungono le alte percentuali delle regioni del Nord, tutte al di sopra della media nazionale (54,8%), in particolare della Valle d’Aosta (61%), del Piemonte, della Liguria e del Veneto (tutti e tre al 59% come l’Umbria). Al di sopra della media nazionale si collocano, fra le regioni centro-meridionali, il Lazio, la Sardegna, l’Abruzzo, il Molise (tutti intorno al 58%), mentre la Basilicata (54%) è di poco sotto la media. Fanalino di coda sono quattro regioni meridionali, abbondantemente sotto la media nazionale anche se per fortuna sopra il quorum: Sicilia (52,7%), Puglia (52,5%), Campania (52,28%), Calabria (50,4%).

La Puglia è terzultima. Non è molto, per una regione che doveva essere «la testa d'ariete contro gli impianti atomici» (parole del Governatore). Ma è un bene che la sinistra pugliese riacquisti il senso delle proporzioni, ove mai avesse rischiato di perderlo. Che, cioè, si accorga – nonostante le positività dell’azione di governo nella Regione, a Bari e in altri comuni – che il laboratorio della politica e la spinta dei movimenti, almeno per ora, sono altrove.

Nei territori pugliesi un diverso progetto di governo condiviso e partecipato deve ancora trovare il suo radicamento sociale. Capita a proposito la discussione sul libro di Onofrio Romano, La fabbrica di Nichi. Comunità e politica nella postdemocrazia, con prefazione di Franco Cassano (Laterza, Bari, 2011), che è stato presentato pochi giorni fa a Bari, nella libreria Laterza. In verità il saggio di Romano sta facendo discutere già da mesi, essendo stato pubblicato in precedenza su «Democrazia e diritto» e diffuso elettronicamente (l’edizione in volume ha solo poche aggiunte).

La novità è invece la qualità e la quantità della partecipazione dell’altro giorno, che ricordava certe assemblee – quelle di Città plurale, per esempio, ma non solo – nei momenti aurorali della Primavera Pugliese (2003-2005). La tesi fondamentale dell’autore – cui il pubblico ha riservato un ascolto attento e dialogante – è che le «fabbriche di Nichi», da lui studiate nella loro dinamica, siano un’esperienza post-democratica o meglio ancora a-democratica: infatti la pur ricca ed effervescente fenomenologia di iniziative e di creatività giovanile che vi si è espressa non ha mai incontrato il livello della decisione politica, situato in una sfera separata ed esclusiva, facente capo alla stretta cerchia vendoliana. Da questo punto di vista, le «fabbriche» non solo la soluzione del problema – la crisi delle forme di partecipazione democratica – ma una manifestazione dello stesso. Un modello tutt’altro che generalizzabile; i cui limiti del resto sono risultati evidenti.

Insomma, dobbiamo guardare ai recenti segnali di fumo come a una pluralità di indicazioni dai territori, a molte e diversificate esperienze, per cercare di intuire che forma prenderà la democrazia politica in un futuro più o meno prossimo; per capire come, e se, la sinistra sarà vivificata da questo processo; per accompagnare armoniosamente un percorso. Confessiamo di non nutrire un facile ottimismo. I movimenti, i comitati di scopo, la rete – realtà autenticamente partecipative – hanno dimostrato di funzionare per i referendum. Ma di qui a determinare le condizioni di una coalizione nazionale capace di vincere le elezioni politiche, ce ne corre. E quando si vince, si vince per lo più in maniera rocambolesca, contorta; incominciano allora i veri problemi e gli scivolamenti rovinosi verso durature sconfitte.

Guardiamo intanto con interesse all’iniziativa di raccolta di firme per abrogare la legge elettorale vigente. Battiamo il ferro ancora caldo: dubitiamo che vi sia una forza politica seriamente intenzionata a cambiare in parlamento una legge che fa molto comodo. Coltiviamo il protagonismo dei movimenti. E vediamo quali indicazioni verranno dai due poli di attenzione politica che si sono imposti: Milano e Napoli. Due esperienze molto diverse, come si comprende già dalla formazione delle due giunte comunali.

A Milano si intravede il grande lavoro di cucitura e di mediazione che ha portato il sindaco di sinistra, l’«estremista», e lo stesso Pd a porsi anche come garanti di una parte significativa della borghesia e del centrismo. A Napoli si assiste alla corsa solitaria, che ha qualcosa di avventuroso, di un governo bicolore (Italia dei Valori e Rifondazione) che non trova riscontro altrove, mentre Pd e Sel sono rimasti tramortiti dalla caduta da sinistra del bassolinismo. Facciamo gli auguri a entrambe le giunte; in particolare, se ci è consentito, al neo vicesindaco di Napoli, Tommaso Sodano, assessore all’ambiente, ex presidente della commissione ambiente del Senato, a cui tocca la sfida più rischiosa, quella di una «missione impossibile».